Paterson, Jarmush e la poesia del fallimento felice

Non sorprende l’interesse per la poesia in un regista come Jim Jarmush.

Siamo a Paterson una anonima città del New Jersey che deve la sua fama a un pugno di artisti e sportivi (peraltro di non grande richiamo se non per appassionati) che lì ebbero i natali tra i quali naturalmente spicca il poeta William Carson Williams.

Il nostro protagonista si chiama anche lui Paterson (un cognome un destino) nonpaterson2 potrebbe essere nato altrove né vorrebbe andare altrove. La sua giornata segue itinerari consueti e programmati, la sveglia poco dopo le 6, la colazione con gli stessi cereali, la guida di un autobus cittadino, le poesie scritte ogni giorno che documentano una vita (stra)ordinaria. Il ritorno a casa da Laura, la compagna che fa l’artista inventando ogni giorno un modo diverso di riempire la sua vita, perché fare è più importante di riuscire e sognarsi cantante country senza sapere cantare o suonare ma farlo con energia e il sorriso di chi ha già vinto e l’inconsapevolezza fanciullesca che è tutto un gioco (oggi giochiamo a…).

Paterson è la poesia delle piccole cose, delle rassicuranti banalità quotidiane, dell’assenza di (ulteriori) aspirazioni o delle ambizioni mancate, del felice fallimento e della sicurezza di un eterno ritorno delle (alle) abitudini quotidiane smosse solo da piccoli eventi vissuti con un invidiabile stupore infantile.

Il nostro Paterson ama teneramente la sua compagna Laura e mostra un amorevolePATERSON_D26_0049.ARW entusiasmo per tutti i energetici progetti di lei, in fondo perché deludere il suo formidabile spirito di iniziativa, la sua creatività persino quando cucina una immangiabile torta salata ai cavoletti e groviera. Non si alza mai la voce in casa di Paterson e Laura come anche nel mondo di Paterson dove ogni dramma scolora nel suo ironico depotenziamento, dai tormenti familiari del suo capo all’amico Everett che ama una donna non riamato e finge un comico suicidio nel bar di Doc, meta serale del nostro protagonista. E che dire che la moglie dello stesso Doc che irrompe nel bar minacciando il marito di volere indietro i soldi spesi da lui per partecipare a un torneo di scacchi?
Ogni interruzione della routine, ogni movimento delle acque tranquille dell’esistenza viene immediatamente sedato, eccezione che conferma la regola di una vita senza sorprese.
Emblematica la metaforona dei cerchi che Laura dipinge continuamente, ci si muove sempre in circolo per restare fermi.

Paterson parla poco forse perché non ha molto da dire, o forse perché tutto il piccolo mondo intorno a lui ha detto tutto.

E suona ironica la citazione di Gaetano Bresci, l’anarchico che fece fuori re Umberto I e paterson3che precedentemente soggiornò a Paterson. “Pensi ci siano degli anarchici qui a Paterson oltre a noi?” dice il ragazzino alla sua compagna di studi mentre scendono dall’autobus guidato dal nostro protagonista. Forse l’unico altro anarchico sembra essere il cane di Paterson e Laura, Marvin che ogni sera inclina il palo della posta davanti casa (che rientrando Paterson raddrizza) e che distrugge il prezioso taccuino con le poesie.

Siamo tutti poeti, un autista di autobus, una bambina, perfino il tenero giapponese venuto fin lì per vedere il luogo di nascita del “famoso poeta William Carson Williams”.

La ricetta della serenità a Paterson è, per usare le parole di Oscar Wilde, desiderare quello che si ha non quello che non si ha.

Il film si balocca con queste idee e richiede al pubblico una grande empatia. Se non si riesce ad amare Paterson e Laura la “poesia” propalata dal film si scopre un po’ banale e noiosa come i suoi protagonisti.

Informazioni su Souffle

Amante del cinema, delle serie tv e della cucina adora la comunicazione e la scrittura (degli altri). Nel tempo libero fa un lavoro completamente diverso.
Questa voce è stata pubblicata in cinema 2017, scrittura. Contrassegna il permalink.

Lascia un commento