Lo sapete tutti, la giuria di Venezia ha premiato il film di Sofia Coppola, già nelle sale italiane, e si è scatenata la rissa.
Prima i cinefili con proclami sulla morte del Cinema. Fino al prossimo festival, naturalmente.
Poi i critici cinematografici, colpevole la giuria di non avere preso in considerazione i titoli suggeriti dalla stampa specializzata.
Infine i giornalisti gossippari e fuffaroli, che hanno azzardato un collegamento tra il presidente della giuria, Tarantino, e la premiata, Sofia Coppola (ecco ha premiato la sua ex), nonché Monte Hellman, che per primo credette nel giovane e talentuoso regista.
E Alex de la Iglesia, premiato due volte? Non ricorda un Tarantino minore?
È sempre divertente leggere le polemiche del dopo festival, perché sono uguali, ma riescono a essere sempre ugualmente diverse.
Quindi le accogliamo con grande piacere, gustandone il sapore come si apprezza quello di un piatto noto che non riserva sorprese.
La sola polemica un po’ indigesta è quella dei critici, e ancora di più lo notiamo dopo le parole di Mereghetti oggi sul Corriere.
Il critico dopo essersi accodato al gruppo dei gossipari lamentando una premiazione “tarantiniana”, appare seccato perché quest’anno nessun premio sia andato all’Italia, quasi che fosse un atto dovuto, come quando c’era il Conte Volpi e a Roma c’era quello che faceva arrivare i treni in orario.
Mereghetti paventa (o suggerisce?) che i produttori saranno invogliati, di questo passo, a non mandare più film italiani alla Mostra. E forse quattro erano troppi, e forse, suggerisce tra le righe il critico, meglio mandarne due, sapendo già che ne verrà premiato uno. In tempo per l’apertura del TG1 con Mollicone.
Ma il punto centrale del ragionamento del più autorevole dei quotidianisti (che riassume il pensiero dei critici tutti), è che la giuria avrebbe dovuto seguire le indicazioni della stampa specializzata.
Sfugge però ai critici che un premio della critica esiste già. E che i premi ai festival di solito li dà una giuria di gente che il cinema lo fa, non di persone che il cinema lo “criticano”.
Pensare che chi fa cinema sia anche un “critico” è pensare a una globale novelle vague, inesistente.
Chi fa cinema ha spesso una idea di cinema diversa da chi ha studiato teoria e critica del cinema. Ed è ora che i critici se ne facciano una ragione. A volte si rimprovera una “politicizzazione” dei premi delle giurie (spesso con ragione). Ma che dire cella critica ideologica?
Infine, i premi delle giurie dei festival sono spesso frutto di scelte emotive, irrazionali., imprevedibili, ed è questa la loro bellezza.
I critici dovrebbero lasciare i premi alle giurie e fare il loro lavoro, che è quello di incoraggiare, suggerire, promuovere, difendere il cinema in cui credono, dalle colonne dei loro giornali, quando fanno le loro recensioni, nei dibattiti e in tutte le occasioni in cui possono, e spingere perché la distribuzione si accorga di opere meritevoli di essere conosciute.
In questo senso per me il critico è Vieri Razzini, distributore in sala e dvd del cinema in cui crede e che pochi, purtroppo, vedono.
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