dieci inverni per (non) dirsi ti amo

Piace vedere ogni tanto un film italiano NON ambientato a Roma. Dove non si sentono accenti romani e non ci vede il cupolone sullo sfondo.
Il Veneto poi riserva suggestioni, specie invernali, straordinarie. Il film migliore di Mazzacurati, Notte italiana (suo esordio) restituiva un paesaggio che si faceva romanzo cinematografico.
Il cinema italiano più autentico deve ragionare sulla sua specificità territoriale, odorare di terra e di acqua salmastra e paludosa come quella lagunare di Dieci inverni dell’esordiente Valerio Mieli, che parte come finalista al Premio Solinas e scrive insieme a Lantieri e Aguillar uno script lontanissimo dagli stereotipati testi che solitamente vediamo impaginati dai nostri registi, anche quelli più famosi.
Camilla e Silvestro si incontrano molto giovani a Venezia e si piacciono, ma non riescono a dirselo. Per dieci anni. Che li porteranno ad allontanarsi e incontrarsi di nuovo, fotogrammi in mezzo al cinema delle loro vite (mai veramente) vissute, in location lontane (lei finisce in Russia, lui sconsideratamente la raggiunge senza preavviso).

L’inverno gela le parole che non si riescono a dire. E che mai si diranno, anche se finiranno avvolti dall’amore di un amplesso quando finalmente saranno maturi viverlo.
Decifrare i sentimenti che si provano per l’altro non è facile. Capirli e manifestarli, ancora meno. La cosa più difficile però è capire quando è il momento giusto per viverli. E sapere attendere.

Mieli racconta in modo non banale, anche se cede a volte a inquadrature scontate (la gru che riprende il campo con i due ragazzi che non si incontrano per caso, ennesimo segno del destino), ma non per questo meno funzionali al racconto.
Il film vince, anche sui suoi difetti, con la spontaneità dei due interpreti, Isabella Ragonese e Michele Riondino, mai eccessivi, mai gigioneggianti, cui vengono messe in mano battute di cui non vergognarsi.
La regia è corretta e non insegue virtuosismi cinefili, la fotografia del veterano Marco Onorato (che ha illuminato anche L’imbalsamatore e Gomorra) asseconda il mood dei protagonisti, la musica non è un gruppo di canzonette da scaricare sull’i-pod, ma è una partitura per film cui si aggiungono alcune canzoni tradizionali russe e un paio di pezzi di Vinicio Capossela assai piacevoli.

Off topic, fa piacere rivedere Venezia, città vissuta dal titolare di questo avatar diverse volte, in diversi anni della sua vita. E sempre con persone piacevoli e amabili. E spesso in autunno. Venezia in autunno (o in inverno) ha un fascino piacevolmente malinconico. Come la vita, che non ti permette mai di essere completamente felice. Sono sicuro che Camilla e Silvestro sono d’accordo con me.

Informazioni su Souffle

Amante del cinema, delle serie tv e della cucina adora la comunicazione e la scrittura (degli altri). Nel tempo libero fa un lavoro completamente diverso.
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5 risposte a dieci inverni per (non) dirsi ti amo

  1. souffle ha detto:

    @Giulia: Notte italiana è un film ingiustamente dimenticato. Un saluto.

  2. Giulia ha detto:

    Della Notte italiana mi ricordo tutto, tutto. La colonna sonora, l'acqua fetida nel fosso, il pollo in umido. Mi è di grande conforto che tu lo tenga nella medesima stima.

  3. souffle ha detto:

    @Christian: posso comprendere il tuo fastidio verso i due personaggi. Meno male che li vediamo solo al cinema e non dobbiamo poi uscire a cena con loro. ^^Un saluto e grazie di essere passato.

  4. Anonymous ha detto:

    …please where can I buy a unicorn?

  5. Christian ha detto:

    L'avevo visto alla rassegna milanese di Venezia, e francamente non mi era piaciuto. Bella l'ambientazione di Venezia invernale, senza turisti, questo sì. Ma ho odiato i due personaggi dal principio alla fine: antipatico lui, odiosa lei. Se li conoscessi nella vita reale, smettereli di frequentarli dopo una sola serata.

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